Nella notte dal 7 all'8 Gennaio
1874 in Rimini furono mortalmente ferite due guardie di pubblica sicurezza,
di cui una morì. L'autore del delitto, seguendo l'esempio di qualche
altro fuori legge dei paesi vicini, cercò scampo nel territorio della
nostra repubblica e si nascose nella casa di un contadino. In quel tempo i deputati
di destra del parlamento italiano mal tolleravano che la repubblica del Titano
sfuggisse alla unificazione dell'Italia, ed i ministri di Sua Maestà
Sabauda cercavano il pretesto per invadere il nostro territorio ed imbastire
la commedia di un plebiscito per privarci del privilegio della nostra indipendenza.
Il pretesto fu fornito dal reato di Rimini. Un bel giorno, anzi un giorno molto
brutto, con cordoni di truppe circondò il nostro territorio. Ogni diritto
di passaggio e di traffico fu soppresso. Alle autorità della Repubblica
fu consegnato un elenco di malviventi da consegnare, dei quali la maggior parte
non aveva mai valicato il nostro confine. Ma chi ha la forza ha sempre ragione,
specialmente se ha torto.
Il Segretario di Stato per gli affari esteri Domenico Fattori chiamò
in gran segreto il nonno Badarlon, gli disse che il colpevole di Rimini era
sul nostro territorio, e siccome egli era la causa che aveva fatto traboccare
il calice delle ostilità delle destre italiane contro di noi, era necessario
condurlo oltre il confine, attraverso il cordone militare, senza destar sospetti.
Il Segretario faceva appello al patriottismo ed alla esperimentata abilità
di guida dell'uomo che aveva portato a salvamento Garibaldi. Badarlon promise
che avrebbe allontanato senza destar sospetti l'ospite non gradito.
Ispezionò accuratamente il confine e lo trovò in ogni parte
sorvegliato. Non era possibile attraversarlo senza destar sospetti e senza il
pericolo di buscarsi una palla nello stomaco. E allora? Allora la vecchia guida
aguzzò il cervello.
Prese accordi, pagando profumatamente, con una famiglia di coloni il cui
podere si estendeva anche oltre confine nella parrocchia di Serravalle. Si travestì
da contadino, e con un carretto sgangherato trainato da un vecchio asino, ottenne
di attraversare il confine con un carico di puzzolente concime. Non era la stagione
di dar lo stabbio ai campi, ma bisognava giocar di audacia, fingersi tonto,
cambiare il posto alla concimaia, sperare che le guardie non sospettassero di
un villano sudicio e puzzolente.
Dopo alcuni giorni, quando si accorse che i soldati di guardia erano abituati
al poco pulito lavoro del finto villano, un bel dì nascose l'ospite non
desiderato sotto il male olente letame, e riuscì a condurlo al sicuro
fuori del cordone, durante l'ora del rancio dei soldati. Il fuggitivo vestito
da prete scappò a Genova, dove fu arrestato mentre tentava di imbarcarsi
per l'America.
Tolta di mezzo la causa principale dell'assedio, il Segretario di Stato
Domenico Fattori andò con altro incaricato a Roma per trattare col ministero
al quale ogni giorno dai funzionari regi di Rimini e di altri paesi vicini piovevano
denunce e calunnie contro la piccola ed inerme repubblica. Dei malfattori di
cui il Ministero dell'Interno chiedeva la consegna molti erano morti, molti
scontavano pene nei penitenziari italiani, e gli altri non erano mai stati a
San Marino. Per troncare lo screzio e porre fine alle calunniose denunce di
funzionari ostili, il Governo della Repubblica arrestò tutti i forastieri
residenti nel suo territorio e ne inviò l'elenco alle autorità
italiane. Tra essi erano fuori legge solo due renitenti di leva, un disertore
ed una donna colpevole di ferimento, che furono consegnati ai regi carabinieri
al confine. Ed in tal modo l'assedio ebbe termine.